La francia festeggia i 90 anni di Maigret

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Il commissario Maigret, nato dalla penna dello scrittore belga Georges Simenon, è una figura iconica per i francesi. Il paese infatti si sta preparando alla ricorrenza dei novant’anni dalla prima apparizione del celebre commissario.

Per l’occasione le edizioni Omnibus intendono pubblicare nuovamente in 30.000 copie “Tutto Maigret” (titolo originale Tout Maigret), l’opera magna che comprende 103 romanzi e racconti riuniti assieme in dieci volumi illustrati. Non solo, al cinema uscirà il nuovo film “Maigret e la giovane morta”, dalla regia di Patrice Leconte ed interpretato dall’attore Daniel Auteuil nel panni del commissario. Infine è prevista l’uscita di diversi audiolibri.

Lo scrittore Pierre Assouline, intervistato dai media francesi, è compiaciuto per il rinnovato interesse verso una figura cult dello spettacolo. «Nell’opera di Simenon, non si butta niente – aggiunge – Bisognerebbe cingere la sua opera da una fascetta intitolata ‘La condizione umana’, e pazienza se il titolo è già preso».

Articolo tratto da sito www.vocealta.it (che ringraziamo)

 

Maigret, l’antidetective con la libertà di non pensare

[Riportiamo un bellissimo articolo scritto da Massimo Raffaeli per “Avvenire.it” ]


Il personaggio creato dalla penna di Simenon non si forma opinioni né costruisce ipotesi ma pazientemente aspetta. E la verità viene a galla completa come un’illuminazione.

Nel senso comune dei lettori Jules Maigret non è un personaggio ma una persona, privilegio di una silhouette talmente definita da potersi sottrarre nell’immaginario popolare alla tutela come alla bibliografia di un autore, Georges Simenon, che è oggi celebrato tra i massimi del Novecento.

MaigretI romanzi e i racconti intitolati al commissario del Quais des Orfèvres sono un centinaio eppure Maigret è uno solo. È un individuo di mezza età, orfano e provinciale dell’Allier, entrato in polizia nell’imminenza della Grande Guerra, un ex studente di medicina con una spiccata vocazione semiotica, un uomo d’ordine senza essere un reazionario, proprietario di un appartamento al 132 del Boulevard Charles-Lenoir e coniugato senza figli con una fuoriclasse del coq au vin, la stessa cui immancabilmente si rivolge chiamandola, con deferenza asessuata e sottaciuto narcisismo, Signora Maigret. (Che il commissario sia una persona prima che un personaggio lo sanno non soltanto i lettori ma persino gli specialisti come Jules Lacassin che infatti ne pubblicò una ordinata biografia, in italiano da Medusa, La vera nascita di Maigret, deducendola dalla vasta produzione che Simenon definiva, con qualche affettazione, “semiletteraria” o “semialimentare”: tanto per dire, Pietr il lettone, che è l’incipit maigrettiano, precede di un anno appena I Pitard, 1932, uno dei capolavori del Simenon senza ulteriori aggettivi).

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Maigret non sopportava giudici e poliziotti blasé

Nota:

In questo articolo “incontriamo” un commissario un po’ diverso da quello che amiamo e che apprezziamo nell’adattamento televisivo, queste differenti  caratteristiche sono invece già note a chi, oltre ad aver visto lo sceneggiato, ha letto i libri che hanno Maigret come protagonista (sono ben 75).


E’ noto come Simenon fosse un profondo conoscitore delle persone e dell’animo umano: egli condivideva con il suo più amato personaggio, Maigret, una naturale inclinazione a “collezionare” uomini, e così esprimeva l’evidente desiderio, se non l’invincibile necessità, di conoscere e approfondire ogni aspetto che potesse comunque riferirsi alla vita interiore degli individui ed ai relativi atteggiamenti esteriori.

hammer-slider-2Egli riteneva come l’uomo fosse un essere così debole, disarmato ed indifeso da non poterne assolutamente pretenderne altro se non la fallibilità e l’incapacità di sottrarsi alle conseguenze dei suoi stessi, inevitabili errori. Perciò, nonostante nella sua vita avesse certamente conosciuto ed apprezzato il danaro e il lusso, non poteva non guardare con diffidenza quel mondo nobile e aristocratico, spesso descritto nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Di esso detestava la falsità, la supponenza e, soprattutto, il sottile cinismo.

Nei suoi scritti compaiono spessissimo personaggi appartenenti a tale realtà sociale; Simenon sempre contrappone gli stessi ai “piccoli uomini”, dei quali, invece, esalta (con sottile ed acuta abilità) doti non comuni di profonda sensibilità e straordinaria capacità di comprensione, nonché di innata e naturale compassione. Anche nei romanzi e nei racconti dedicati al Commissario Maigret, certamente Simenon indulge in una maggior simpatia in favore di personaggi modesti, “minori”, evidenziandone gli aspetti più umani ed i profili più intimamente genuini.

Degli infaticabili collaboratori di Maigret (soprattutto di quelli più umili), Simenon fumapipaesprime, sia pur non esplicitamente, apprezzamenti incondizionatamente ed affettuosamente lusinghieri. Lucas appare sin dal primo “romanzo ufficiale” della saga “Maigret” (Pietr-le-Letton); egli è sempre disponibile ai pedinamenti, nonostante abbia le gambe piuttosto corte (Maigret si sbaglia), fuma la pipa come il suo capo e ne imita maldestramente lo stile. E’ un subalterno fedele e affidabilissimo.

Janvier, l’ispettore più anziano destinato a diventare erede del “Capo” al comando della sezione di polizia giudiziaria e alla guida della squadra omicidi, viene invece descritto come fin troppo preciso e preparato, un po’ presuntuoso, esageratamente attento, eccessivamente lucido. Conosce talmente bene le modalità di indagine del Commissario, da anticiparne le mosse, con evidente insofferenza e malcelato imbarazzo di Maigret, e con la incondizionata disapprovazione dello stesso scrittore.

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Tutto quello che avreste voluto sapere sul tabacco e le pipe di Maigret



Per concludere il discorso fumo, riportiamo un bell’articolo scritto da 

Gabriele Protomastro per il sito www.occidentale.it


Non si può contestare che Simenon fumasse, non disdegnasse l’alcool ed avesse un rapporto “singolare” con le donne. Nonostante ciò, questi tre profili risultano spesso oggetto di scarsa attenzione (il primo), di superficiale ed epidermica considerazione (il secondo), ovvero di eccessiva, e per ciò stesso non corretta, valutazione (come per il terzo aspetto, entrato far parte della leggenda e sul quale si è scritto tanto, spesso troppo, e non sempre in maniera pertinente).

simenon con le sue pipe

Georges Simenon (con le sue pipe)

Simenon fumava la pipa. E’ molto probabile che lo scrittore, che sentiva la necessità di avvicinarsi ad ogni aspetto del vivere umano, conoscerne e, per quanto possibile, provare le sensazioni che lo stesso potesse offrire, avesse fumato anche sigari e sigarette, ma è solo la pipa che lo ha accompagnato nella sua lunga vita, tenendogli compagnia in ogni occasione e restandogli fedele in qualsivoglia circostanza.
Non vi è foto in cui Simenon compaia senza la sua pipa.

 

Vi è una bellissima foto del 1993 che lo ritrae, vecchio, convalescente, in raffinata veste da camera, appena reduce da un delicatissimo intervento chirurgico alla testa, seduto su una poltrona all’interno di una suite del Beau Rivage Palace di Ouchy a Losanna in Svizzera, con un plaid sulle gambe, intento a fumare una meravigliosa pipa inglese di radica chiara, liscia, di pregevole fattura (tale foto è in possesso del proprietario di un bar di mia conoscenza, all’epoca capo barman presso la lussuosa struttura alberghiera, che per nessun motivo cederebbe il prezioso documento: egli sa che Simenon non amava essere fotografato, soprattutto negli ultimi anni di vita).

Ogni esperto è in grado di comprendere che egli fumasse solo pipe pregiate, di gran marca (inglese), diritte, preferibilmente medie, leggere e sottili. Ne possedeva un gran numero e le alternava con scrupolo. I ben informati (Giuseppe Bozzini: Tabacco per la mia Pipa) dichiarano che egli fumasse solo due tipi di tabacchi inglesi, entrambi costosi e raffinati: Elizabethan e  The Royal Yacht mixture.
Tabacchi per intenditori, a base di Virginia, con un pizzico di Perique (il primo) ed una percentuale di Latakia (il secondo).

Trinciati per fumatori esperti, di difficile combustione, umidi, di taglio medio-grosso, difficili a reperirsi, ma suscettibili di regalare al fortunato fumatore profumo (ciò che si sente con il naso) ed aromi (quelli che si riescono ad apprezzare con il gusto) straordinari.
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Maigret social(e)

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Sembra ieri, ma non è così. Il nostro commissario celebra proprio quest’anno,  i suoi primi dieci anni di presenza su Facebook, dato che la pagina a lui dedicata è stata creata nel 2008.

Tra alti e bassi (i membri del piccolo staff sono sempre presi, come tutti,  tra famiglia, scuola, lavoro…) la pagina sta dando un bel po’ di soddisfazioni, gli amici del nostro Maigret sono affezionati e sempre presenti.

Non possiamo pretendere che questo tipo di pagina riscuota lo stesso successo di altre che trattano argomenti più d’attualità (o trendy, come si usa dire al giorno d’oggi), ad ogni modo il sentimento che ci lega al nostro poliziotto, nonchè al suo immenso interprete, ci rendono orgogliosi di quel che viene fatto, per mantenere vivo il ricordo di prodotti televisivi sani, che oggi, forse, in parte sono scomparsi. Simenon ha creato un bel commissario, e il caro Gino gli ha dato vita in maniera magistrale.

Ringraziamo di cuore tutte le persone che seguono la pagina , ai prossimi 10 anni.

Lo staff del Commissario
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Dopo cinquant’anni, la pipa di Maigret continua a fumare

Ci hanno provato in tanti. Jean Gabin, per dire. O Charles Laughton. Attori che nella storia del cinema meritano una poltrona nel pantheon dei grandi. Ma come lui, Luigi Cervi detto Gino da Bologna, classe 1901, nessuno mai. Maigret sarà sempre e soltanto lui, almeno nell’immaginario collettivo dell’Italia in bianco e nero, forse ingenua ma capace di grandi passioni, di amare ed elevare un personaggio e il suo interprete a icone senza tempo.

Cervi - Pagnani

E’ passato mezzo secolo, una vita, un’era geologica nel mondo della televisione, della fiction, nel modo di raccontare le storie, di strutturarle, di offrirle al consumo del pubblico. Cinquant’anni fa, era l’autunno del 1964, la Rai mandava in onda la prima serie delle indagini del commissario Maigret, senza poter prevedere che per otto anni sarebbe stato un successo clamoroso, non certificato dall’Auditel ma così profondo da diventare, forse, il primo fenomeno mediatico di massa della nostra televisione insieme ai quiz di Mike Bongiorno.

Due anni dopo, nel 1966, poi ancora nel 1968 e nel 1972, Gino Cervi e la sua compagnia di giro (Andreina Pagnani, Franco Volpi, Mario Maranzana, il livornese Daniele Tedeschi, Oreste Lionello) vennero praticamente «obbligati» a girare altri episodi, sedici in tutto, perché anche chi non aveva mai letto un romanzo di Georges Simenon (la maggior parte, in un paese ancora non del tutto alfabetizzato) davvero non poteva più fare a meno delle volute di fumo della pipa di quel attore-detective buono, burbero, così carnale e viscerale nell’interpretazione.
Maigret e Montalbano. Pochi sanno, però, che uno dei padri del successo televisivo del commissario con la pipa è stato Andrea Camilleri, il creatore di Montalbano. Il giallista siciliano, all’alba degli anni Sessanta, lavorava come produttore per la seconda rete della Rai, ed era quello che doveva inventarsi le trasmissioni di successo. «In quegli anni – ha raccontato Camilleri – non era facile portare certi prodotti in televisione, la grande prosa ad esempio. Il trucco per intercettare l’interesse del pubblico era scegliere i grandi attori e così avvenne con Cervi e la Pagnani: il successo fu tale che la sera in cui andava in onda Maigret le sale cinematografiche furono costrette a mettere gli apparecchi tivù, e farlo vedere prima del film. Altrimenti la gente se ne stava a casa e addio incasso».
Difficile non notare il fil rouge che lega la Parigi di Maigret alla Vigata di Montalbano: umanità, buon cibo e buon vino, la capacità di scavare nell’animo umano per arrivare alla soluzione, il tutore dell’ordine che diventa uno di noi con le sue manie, i suoi vizi, il suo privato.
Gli interpreti. Gino Cervi è stato il miglior Maigret della storia televisiva. Il ruolo di Peppone nella fortunatissima saga di Guareschi gli aveva già regalato una popolarità fragorosa e trasversale. Ma il personaggio letterario del commissario della polizia giudiziaria di Parigi sembrava tagliato apposta per lui. Fu Diego Fabbri a volerlo per la voce baritonale, il fisico massiccio, lo sguardo ironico dietro al cipiglio, la fissazione per la pipa, per la buona tavola, per il Calvados, l’imbarazzo nel rapporto con le belle donne. E soprattutto quella capacità di risolvere ogni sporco rebus che emergeva dai fumosi bassi di Parigi, un mondo sordido di prostitute, locali equivoci, povera gente, mettendo insieme pezzo per pezzo, mettendo a nudo l’anima dei criminali e delle loro vittime senza affidarsi agli strumenti più moderni, alla medicina legale ad esempio. L’esatto contrario dei Csi dei giorni nostri. Maigret era uno di famiglia perchè ci portava anche dentro le piccole vicende del suo appartamento di Avenue Richard Lenoir, che divideva con la dolce signora Maigret, una sorta di vedova bianca capace di aspettare il marito giorno e notte, con pazienza, preparandogli da mangiare a ogni ora, obbligandolo a infilare la maglia della salute nelle giornate fredde, ma anche di offrire all’amato le sue chicche di saggezza nei casi particolarmente complicati. Una superba Andreina Pagnani, doppiatrice storica delle divine Garbo e Hayworth, grande attrice di teatro e amata da Alberto Sordi nonostante la differenza di età (lei aveva 14 anni in più) ha accompagnato l’amico e sodale Gino Cervi (hanno fatto compagnia insieme in teatro per decenni), sulla strada dorata del successo.
E che dire della squadra del Quai d’Orfevres, sede (vera) della polizia parigina, i «ragazzi» amati da Maigret e obbligati a notti insonni tra appostamenti e pedinamenti? Questi ruoli sono stati i punti più alti delle carriere, ad esempio, di Mario Maranzana (il fido Lucas, così ipnotizzato dal capo da imitarlo anche nel fumo della pipa), di Gianni Musy (Lapointe), che proprio in quegli anni fece fortuna con un altro sceneggiato di grande successo, la Freccia Nera, di Manlio Busoni (l’ispettore Torrence) e del livornese Daniele Tedeschi, che interpretava il fatale e piacione Janvier. 84 anni, Tedeschi è nato a Milano ma a Livorno è cresciuto fino al trasferimento a Roma dove diventò molto noto come attore di prosa alla radio. Dopo il successo con Maigret, ha lavorato a lungo come doppiatore prima di trasferirsi in Argentina. Una presenza fissa, negli otto anni di Maigret, è stata anche quella di Franco Volpi, elegantissimo e austero attore milanese (interpretava il giudice Comelieau) che anche il pubblico più giovane ricorda nel ruolo del corrottissimo e cocainomane ministro in «Johnny Stecchino» di Roberto Benigni. E infine Oreste Lionello, la voce di Woody Allen, che impersonava il fragile e geniale medico legale Meurs.
I «camei». Tanti, tantissimi i grandi attori che hanno impreziosito la serie del Maigret italiano. Dal fiorentino Arnoldo Foà, torbido e tormentato Ducrau de «La Chiusa» all’altra toscana Marina Malfatti, dolce ed equivoca ballerina in «Maigret e le ombre cinesi». Sergio Tofano era il vecchietto un po’ svanito dell’«Affare Picpus», Cesco Baseggio, mito assoluto nella scuola veneziana, il falsario ottuagenario di «Maigret sotto inchiesta». Gian Maria Volontè era un credibilissimo pazzo omicida in «Una vita in gioco», il grande attore pistoiese Ugo Pagliai, qualche anno prima della sua esplosione con «Il segno del comando» e «L’amaro caso della Baronessa di Carini» era un giovane medico. E come dimenticare la Loretta Goggi sedicenne o Giuseppe Pambieri, nipote sventato dell’ispettore in «Maigret in pensione», ultimo atto della saga girato nel 1972, quando un Cervi già settantenne decise di chiudere questa bella favola perché la fisicità fatalmente non era più quella degli inizi: il grande attore morirà il 3 gennaio del 1974 a Castiglion della Pescaia.
Le ambientazioni. Erano gli anni pionieristici della Rai e i soldi erano pochi per le fiction d’antan. Così la produzione guidata da Fabbri e Camilleri decise di girare alcuni esterni a Parigi (soprattutto nelle sigle di apertura e chiusura si vedeva Maigret-Cervi passeggiare sul lungosenna, a Montmartre oppure salire con l’ascensore della Torre Eiffel) utilizzandoli poi come «inserti» dentro i racconti girati negli studi di posa della Rai, dove furono abilmente ricostruiti scorci delle strade parigine. Col passare degli anni poi, e con qualche progresso della tecnica, le scene all’aperto aumentarono.
YouTube. La serie di Maigret è stata
vendutissima in Vhs e in Cd ma è tornata a vivere davvero con l’avvento di YouTube, dove l’intera serie è stata condivisa, ottenendo un numero davvero clamoroso di visualizzazioni. Come dire, sono passati 50 anni, sono cambiati gli strumenti e il mondo, ma quella pipa non smette di fumare…

Articolo di Giorgio Billeri.

Maigret e il cane giallo : Fotoromanzo !

Tratto dall’omonimo romanzo di Georges Simenon, del 1931, fotoromanzo originale con Gino Cervi, Laila Regazzi e Alberto Anelli per la regia di Sirio Magni, dal quale non fu tratta alcuna edizione televisiva della serie di sceneggiati de “Le inchieste del Commissario Maigret”.
Maigret è chiamato a Concarneau, per indagare sull’enigmatico ferimento del famoso commerciante di vini locale, Mostaguen.
Quello di Mostaguen è solo il primo di una serie di omicidi, o tentati omicidi, che coinvolgono il gruppo di amici del commerciante, tutti esponenti di spicco della città. Maigret segue la sua pista, in qualche modo guidato da un bizzarro cane giallo sempre presente nei momenti e suoi luoghi degli omicidi.

Per vedere delle anteprime più dettagliate cliccate QUI e sarete reindirizzati.

Maigret in tipografia

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Questo sito, come tutti ben sanno, è dedicato alla versione italiana delle Inchieste del Commissario Maigret: considerato il fatto che tutto sommato sedici inchieste (più una per il grande schermo)

sono un’inezia rispetto a quanto realmente scritto da Georges Simenon,  (e siamo andati già fuori tema diverse volte parlando del nostro beniamino!!) abbiamo deciso di dedicare una sezione del

nostro “lavoro” ai racconti che vedono protagonista il buon Commissario (ben settantacinque romanzi, e ventotto racconti !!).

Spero che questo grande “fuori tema” sia gradito a tutti, ma, ripetiamo, ha una sua sezione, e non andrà mai a mischiarsi con il nostro amato Maigret-Gino Cervi !

Lo staff

Le indagini di Maigret partono quasi sempre da una buona mangiata

 

Con la sua sconfinata produzione letteraria, Georges Simenon non solo ha cercato di indagare i complicati meccanismi del vivere umano (sforzandosi di comprendere i motivi e le ragioni che determinano ogni singola azione), non solo ha creato figure immortali di piccoli grandi uomini, ma ha anche realizzato un autentico monumento alla cucina francese.

Nei suoi innumerevoli romanzi, infatti, molto spesso vengono descritte le pietanze più tradizionali, dal semplice piatto fatto in casa, alla più raffinata cena parigina, nel rispetto delle origini e nella esaltazione delle rispettive qualità. D’altronde anche in questo campo Simenon fu condizionato dalle esperienze maturate nella sua lunga e straordinaria vita. Nato da padre vallone e da madre fiamminga, con qualche ascendenza tedesca, era stato abituato fin dall’infanzia ad apprezzare le qualità e le caratteristiche di entrambe le cucine.

imm_gino_cerviQuella del padre consisteva soprattutto nella preparazione di bistecche tagliate sottili e molto cotte, accompagnate da un contorno di piselli e patate fritte; la madre – invece – prediligeva stufati con molta pancetta e verdure, carote, cipolle, porri. Lei amava i sughi cotti a lungo, a fuoco lento. Quando il padre dello scrittore, di professione assicuratore, tornava a pranzo dall’ufficio, la moglie ed il figlio avevano già finito di mangiare; egli scopriva come la sua minestra, messa sul fuoco fin dalle sette del mattino, cotta a fuoco basso, e appena riscaldata, si rivelasse ancora gustosissima. In casa Simenon prevaleva, tuttavia, la cucina belga, con abbondanza di cozze e patate fritte: queste ultime comparivano nel menù familiare almeno tre volte la settimana.

Elencando i piatti preferiti della sua infanzia, Simenon usava citare, tra gli altri, i maccheroni gratinati al formaggio ed il flan (“Mia madre ci preparava il flan quando eravamo a letto ammalati”). Lo stesso scrittore racconta come, verso gli otto anni prediligesse le cozze e la torta di riso. Il piccolo Georges coltivava una vera passione per questo dolce tipicamente belga, ben conosciuto, però, sia dai valloni che dai fiamminghi. Di questa leccornìa sarà ghiotto anche Maigret, che lo scoprirà nel 1932 (Chez les Flamands). Il più celebre dei personaggi usciti dalla penna del romanziere belga, infatti, è un raffinato buongustaio. Egli ama cibi semplici e tradizionali, gustosi, invariabilmente legati alle loro origini, preferibilmente preparati in casa o in vecchie locande e bistrot tradizionali.

Al cibo, infatti, il Commissario, come fa con ogni sua azione, associa collaudati rituali, attribuisce significati del tutto particolari e personali, conferisce un ruolo determinante nel regolare il ritmo della vita quotidiana. Secondo il suo umore, decisamente variabile, egli decide, appena sveglio, se consumare la prima colazione in casa o nella vicina brasserie; si predispone a sorseggiare un semplice caffè ovvero a gustare fragranti croissant, uova soda e prosciutto, concedendosi finanche (davanti ad increduli presenti, quali il fedele Lognon: Maigret et le fantôme) il primo bicchiere di vino bianco della giornata; si appresta, insomma, a gestire, in modo ogni volta diverso, gli impegni quotidiani sempre onerosi. “Cosa c’è per colazione?” chiede con invincibile curiosità ad uno sconosciuto barista (Maigret et l’Indicateur).

Anche nel corso del giornata, scandita da ritmi collaudati, ma mai monotoni, Maigret decide quando, dove e cosa mangiare, in virtù del singolo momento. A pranzo, nonostante la moglie ogni giorno regolarmente prepari con scrupolosa attenzione piatti particolarmente gustosi, ed apparecchi con amorevole cura la tavola, Maigret finisce spesso per fermarsi in ufficio. Qui consuma, solo raramente con i propri collaboratori, grossi sandwich al prosciutto o al formaggio, bevendo birra da giganteschi boccali. Mangia lentamente, guarda la Senna, pensa all’indagine in corso, cerca di elaborare una strategia investigativa, si predispone all’accensione della stufa e della pipa e, quasi in estasi, si prepara ad immergersi nell’inchiesta che lo occupa.

A volte, invece, è proprio l’inchiesta in corso che gli impedisce di tornare in ufficio; Maigret (non senza una sottile soddisfazione) è “costretto” a recarsi a mangiare presso la adorata Brasserie Dauphine, dove il proprietario, divenuto ormai suo amico, gli offre le sue pietanze preferite. “Che minestra hai fatto?”, chiede con ansia, sedendosi su uno sgabello; “Di pomodori” gli risponde con aria soddisfatta l’oste (Maigret). Ogni sera Maigret, salendo le scale che lo portano al proprio appartamento in Boulevard Richard-Renoir, la cui porta viene aperta dalla moglie appena sente avvicinarsi il suo pesante passo, cerca di indovinare quale delizia culinaria la stessa gli abbia preparato. Non era raro che la sera precedente egli avesse accompagnato l’amata Louise ad acquistare del fegato lardellato: si preparava, pertanto, a gustare fegato di maiale farcito.

A lui non piacciono piatti sofisticati! Ad un vecchio amico, che arricchendosi era divenuto “snob”, e che lo aveva invitato a cena, si era deciso a dire senza mezzi termini: “… Il menù era di grande qualità, ma i piatti non avevano sapore, non sapevano di nulla!” (L’ami d’enfance de Maigret). Come la madre per il piccolo Georges, anche per Maigret, allorquando l’influenza lo costringe a letto, l’amorevole moglie prepara pietanze speciali: uova al latte e crema al limone o crème caramel.

Il Commissario è diffidente, non ama consumare cibi che non conosce, disdegna recarsi a mangiare in posti non congeniali. Quando ne era costretto (La colère de Maigret), quasi rispettando un rito scaramantico chiedeva sempre: “Si può mangiare da voi?”, ricevendo l’ovvia risposta “E’ naturale che si può mangiare”. Quindi, seguendo la tecnica “progressiva” degli interrogatori, proseguiva l’indagine: “Cosa preparate?”. Si tranquillizza solo apprendendo che nel menù sia compresa qualche pietanza a lui gradita (fricandò, arrosto di maiale con lenticchie, un buon patè di campagna).

Il Commissario è un animale abitudinario: i ritmi della sua vita prevedono sempre una cena settimanale (il giovedì) con i coniugi Pardon. A settimane alterne i Maigret si recano presso l’abitazione degli amici, ovvero li ricevono in Boulevard Richard-Renoir. Con l’amica Madame Pardon (moglie del medico Pardon) Louise Maigret scambia ricette che si aggiungono al patrimonio culinario della casa degli ospiti. Quelle svelate dalla moglie del Commissario sono spesso ricette che provengono dall’Alsazia, suo paese di origine.

I segreti appresi, invece, vengono da lei trascritti con cura su un quaderno acquistato dal marito in una cartoleria di Montmartre dov’era andato a chiedere informazioni, per una delle sue prime inchieste. In quell’occasione Maigret era stato costretto a comperare due quaderni, per rabbonire la vecchia cartolaia che si era innervosita, diventando scostante e sospettosa. Li aveva entrambi regalati alla moglie; nell’altro quaderno Madame Maigret usava incollare i ritagli di giornale che parlavano di suo marito. Era quest’ultimo quello che le stava più a cuore!

 

Gabriele Protomastro

Maigret, profeta ‘slow food’.

 

La fortuna di Maigret è che Simenon lo fa nascere quando a Parigi non c’ è ancora la Tour Eiffel e lo manda in pensione (a Meung-sur-Loire) nel 1972.

mtestDi lui sappiamo che è nato e cresciuto in campagna, nell’ Allier (oggi famoso per le barriques, di cui non si trova traccia nelle storie di Maigret). è un auvergnat sentimentalmente e gastricamente legato a piatti di terra, pur non disdegnando il pesce d’ acqua dolce (la frittura di ghiozzi) né il mare (sogliola à la dieppoise, cappesante e, quando se la può permettere, aragosta).

Nel ‘ 78, cioè sei anni dopo l’ ultima avventura (Maigret et monsieur Charles), Simenon scrive del suo commissario, in verità suo alter ego: «Maigret è un piccolo borghese molto onesto. Ama mangiare ed è forse l’ unico piacere che si concede, come i poveri. Non va quasi mai al cinema, non vede la tv, non ha l’ automobile, non sa guidare». è vero che Maigret ama mangiare e non si preoccupa della linea. Se sta interrogando un sospetto con la prospettiva di farlo confessare, fa arrivare panini e birre dalla Brasserie Dauphine, altrimenti prende quello che la cosmopolita

Parigi gli offre, ma raramente cede a cucine straniere (giusto una paella, una pizza, una scaloppina alla fiorentina). Parigi non è la città di Maigret, che ci arriva da orfano, a vent’ anni, e nemmeno con la prospettiva di entrare in polizia. Fa il commesso in un negozio di passamanerie di rue des Victoires quando un vicino di pianerottolo, l’ agente Jacquemain, lo convince a scegliere la divisa, e Maigret partirà dal gradino più basso per un flic: da un commissariato periferico, in bici, portando messaggi. Parigi, coi suoi riti, miserie e grandezze, diventa la sua città, è obbligato a conoscerla, dai ministeri (che non ama) alle topaie (che cerca di capire, ma senza fare sconti). Nemmeno madame Maigret, Louise, è parigina. è alsaziana di Colmar, una sorella le manda il liquore di prugne (qualche goccia nel coq au vin è il suo tocco segreto).

Vivono protetti, se non proprio in difesa, al 132 di boulevard Richard-Lenoir. Lei quasi sempre in casa, salvo uscire a fare la spesa per lui. E quando a pranzo c’ è un piatto di quelli prediletti da Maigret, garantito che non può goderselo. Motivi di lavoro. Spesso lui torna che lei è già a letto. Salendo al terzo piano si slaccia la cravatta e infilando la chiave nella toppa ripete la brevissima, rassicurante formula: «C’ est moi». Le uscite mondane si riducono a un quindicinale scambio d’ inviti con la famiglia del dottor Pardon (che è anche il medico curante di Maigret). Abita nello stesso boulevard, ha gli stessi gusti di Maigret. Dopo cena gli uomini si ritirano in un salottino a fumare e a sorseggiare un liquore o un distillato mentre le mogli restano a parlare fra loro e a scambiarsi ricette. Dal dottor Pardon Maigret va volentieri, mentre si sente intimorito, vagamente a disagio, quando lo invita il dottor Paul.

Uno famoso, ha fatto l’ autopsia a Jules Bonnot, l’ anarchico che fece da autista a Conan Doyle e fu ucciso dalla polizia nel 1912. Uno famoso va nei posti famosi, come Lapérouse (quai des Grands Augustins), ma quel lusso ovattato non piace al campagnolo Maigret. A Maigret piacciono posti più popolari, i bistrots che noi chiameremmo trattorie, oppure osterie con cucina. Quelle di una volta (appunto), con una donna ai fornelli (moglie, amante, figlia, sorella, cognata, zia) e un uomo in sala, ad illustrare a voce i piatti del giorno, se già non erano stati scritti su una lavagnetta. Anche il vino sfuso era fornito da qualche parente. In quei posti, con calma, il commissario si consegnava al piacere del cibo. Con calma, lentamente: è facile immaginare Maigret «slow food», non solo perché il fast food doveva ancora essere codificato ma soprattutto per una questione di pelle, di sensibilità.

Oltre al fumo e al sudore, in quelle stanze affollate di varia umanità, il suo naso percepiva gli odori dominanti (burro uguale nord, aglio uguale sud) ma anche quelli che venivano da un localuccio pomposamente chiamato cucina. Le andouillettes alla griglia, il fricandeau all’ acetosella, il coniglio in umido, le trippe à la mode de Caen. Nei suoi esordi parigini, Simenon se ne serviva da Pharamond, alle Halles, e trovava il gusto «eccessivo». I gusti di Maigret sono evidentemente modellati sui gusti di Simenon, cresciuto in Belgio con un padre vallone che mangiava principalmente bistecche stracotte e patate fritte e una madre fiamminga che amava le cotture lunghe e i dolci. «Maigret stava per mangiare il dessert quando si accorse del modo in cui sua moglie lo osservava, con un sorriso un po’ canzonatorio e materno sulle labbra. Fece finta di non notarlo, tuffò il naso nel piatto, trangugiando qualche cucchiaiata di uova al latte prima di alzare gli occhi».

Il brano, tratto da Maigret e il corpo senza testa, rappresenta un Maigret in cui sono stati riversati i ricordi di Simenon. La fortuna di Maigret sta nel non aver conosciuto splendori e limiti della nouvelle cuisine. Quasi impossibile pensarlo alla prese con uno dei mille ikebana della Nc (uno col suo appetito, tra l’ altro, e il suo fisico) oppure, ai tempi attuali, con un salmone marinato all’ aneto, creato dai Troigros ma presente ovunque, dalla Lorena al Roussillon, o con i “méli-mélo”, i “duo”, i “voyages autour de”. Simenon aveva viaggiato tantissimo e, per esempio, mangiato aringhe crude (maatjes) in Olanda e pesce marinato nel latte di cocco a Tahiti. Ma nelle migliaia e migliaia di pagine sulle sue inchieste, Maigret non mangia mai nulla che non sia cotto a puntino, con l’ eccezione delle bistecche alte due dita (con le solite patatine fritte). Maigret è onnivoro perché mangia la choucroute dell’ est come l’ aioli e la bouillabaisse del sud, il cassoulet del sudovest, con preferenze per quello di Tolosa. Bere, uguale, a seconda di come gli gira e di quello che mangia: Muscadet di Sèvre et Maine o rosso forte di Cahors, Borgogna come Médoc, ma anche birra, anche sidro. Maigret mangia quello che vuole, non quello che capita. Si adatta.

Se ha in mente uno spezzatino coi piselli e gli propongono gigot d’ agneau, va bene lo stesso. Quello che conta è che siano piatti semplici e serviti con semplicità. Tra le pagine si scopre una passione che privilegia le frattaglie: animelle, trippe, fegato e in particolare le andouillettes. Si tratta di salsicce composte da tratti d’ intestino e stomaco del maiale, in genere servite con una salsa alla senape o grigliate. Due località si disputano l’ appellativo di patria dell’ andouillette: Troyes, nell’ Aube, dove si fa risalire l’ invenzione all’ anno 878, per l’ incoronazione a re di Francia di Luigi II detto il Balbuziente, e Vire, in Normandia, dove il disciplinare prevede l’ affumicatura delle trippe con legno di faggio. Capisco che una salsiccia di trippe di maiale possa non rappresentare il massimo, ma si tratta di uno dei piatti che si servono non solo nei bistrots ma in tutti gli autogrill di Francia. Lo dico per il morale della trippa e perché Maigret nasce da un contrasto. Il cognome è quasi identico a una specialità (magret de canard) e Maigret significa magrolino. Invece il commissario è massiccio, anche se non grasso, facciamo 110 chili per 1.80 di statura. In tempi di sushi e sashimi non si sa perché imperanti e per conto degli amanti del quinto quarto, lasciatemi chiudere dicendo che a tavola Maigret è vivo e lotta insieme a noi.

 

Articolo scritto da Gianni Mura