Le indagini di Maigret partono quasi sempre da una buona mangiata

 

Con la sua sconfinata produzione letteraria, Georges Simenon non solo ha cercato di indagare i complicati meccanismi del vivere umano (sforzandosi di comprendere i motivi e le ragioni che determinano ogni singola azione), non solo ha creato figure immortali di piccoli grandi uomini, ma ha anche realizzato un autentico monumento alla cucina francese.

Nei suoi innumerevoli romanzi, infatti, molto spesso vengono descritte le pietanze più tradizionali, dal semplice piatto fatto in casa, alla più raffinata cena parigina, nel rispetto delle origini e nella esaltazione delle rispettive qualità. D’altronde anche in questo campo Simenon fu condizionato dalle esperienze maturate nella sua lunga e straordinaria vita. Nato da padre vallone e da madre fiamminga, con qualche ascendenza tedesca, era stato abituato fin dall’infanzia ad apprezzare le qualità e le caratteristiche di entrambe le cucine.

imm_gino_cerviQuella del padre consisteva soprattutto nella preparazione di bistecche tagliate sottili e molto cotte, accompagnate da un contorno di piselli e patate fritte; la madre – invece – prediligeva stufati con molta pancetta e verdure, carote, cipolle, porri. Lei amava i sughi cotti a lungo, a fuoco lento. Quando il padre dello scrittore, di professione assicuratore, tornava a pranzo dall’ufficio, la moglie ed il figlio avevano già finito di mangiare; egli scopriva come la sua minestra, messa sul fuoco fin dalle sette del mattino, cotta a fuoco basso, e appena riscaldata, si rivelasse ancora gustosissima. In casa Simenon prevaleva, tuttavia, la cucina belga, con abbondanza di cozze e patate fritte: queste ultime comparivano nel menù familiare almeno tre volte la settimana.

Elencando i piatti preferiti della sua infanzia, Simenon usava citare, tra gli altri, i maccheroni gratinati al formaggio ed il flan (“Mia madre ci preparava il flan quando eravamo a letto ammalati”). Lo stesso scrittore racconta come, verso gli otto anni prediligesse le cozze e la torta di riso. Il piccolo Georges coltivava una vera passione per questo dolce tipicamente belga, ben conosciuto, però, sia dai valloni che dai fiamminghi. Di questa leccornìa sarà ghiotto anche Maigret, che lo scoprirà nel 1932 (Chez les Flamands). Il più celebre dei personaggi usciti dalla penna del romanziere belga, infatti, è un raffinato buongustaio. Egli ama cibi semplici e tradizionali, gustosi, invariabilmente legati alle loro origini, preferibilmente preparati in casa o in vecchie locande e bistrot tradizionali.

Al cibo, infatti, il Commissario, come fa con ogni sua azione, associa collaudati rituali, attribuisce significati del tutto particolari e personali, conferisce un ruolo determinante nel regolare il ritmo della vita quotidiana. Secondo il suo umore, decisamente variabile, egli decide, appena sveglio, se consumare la prima colazione in casa o nella vicina brasserie; si predispone a sorseggiare un semplice caffè ovvero a gustare fragranti croissant, uova soda e prosciutto, concedendosi finanche (davanti ad increduli presenti, quali il fedele Lognon: Maigret et le fantôme) il primo bicchiere di vino bianco della giornata; si appresta, insomma, a gestire, in modo ogni volta diverso, gli impegni quotidiani sempre onerosi. “Cosa c’è per colazione?” chiede con invincibile curiosità ad uno sconosciuto barista (Maigret et l’Indicateur).

Anche nel corso del giornata, scandita da ritmi collaudati, ma mai monotoni, Maigret decide quando, dove e cosa mangiare, in virtù del singolo momento. A pranzo, nonostante la moglie ogni giorno regolarmente prepari con scrupolosa attenzione piatti particolarmente gustosi, ed apparecchi con amorevole cura la tavola, Maigret finisce spesso per fermarsi in ufficio. Qui consuma, solo raramente con i propri collaboratori, grossi sandwich al prosciutto o al formaggio, bevendo birra da giganteschi boccali. Mangia lentamente, guarda la Senna, pensa all’indagine in corso, cerca di elaborare una strategia investigativa, si predispone all’accensione della stufa e della pipa e, quasi in estasi, si prepara ad immergersi nell’inchiesta che lo occupa.

A volte, invece, è proprio l’inchiesta in corso che gli impedisce di tornare in ufficio; Maigret (non senza una sottile soddisfazione) è “costretto” a recarsi a mangiare presso la adorata Brasserie Dauphine, dove il proprietario, divenuto ormai suo amico, gli offre le sue pietanze preferite. “Che minestra hai fatto?”, chiede con ansia, sedendosi su uno sgabello; “Di pomodori” gli risponde con aria soddisfatta l’oste (Maigret). Ogni sera Maigret, salendo le scale che lo portano al proprio appartamento in Boulevard Richard-Renoir, la cui porta viene aperta dalla moglie appena sente avvicinarsi il suo pesante passo, cerca di indovinare quale delizia culinaria la stessa gli abbia preparato. Non era raro che la sera precedente egli avesse accompagnato l’amata Louise ad acquistare del fegato lardellato: si preparava, pertanto, a gustare fegato di maiale farcito.

A lui non piacciono piatti sofisticati! Ad un vecchio amico, che arricchendosi era divenuto “snob”, e che lo aveva invitato a cena, si era deciso a dire senza mezzi termini: “… Il menù era di grande qualità, ma i piatti non avevano sapore, non sapevano di nulla!” (L’ami d’enfance de Maigret). Come la madre per il piccolo Georges, anche per Maigret, allorquando l’influenza lo costringe a letto, l’amorevole moglie prepara pietanze speciali: uova al latte e crema al limone o crème caramel.

Il Commissario è diffidente, non ama consumare cibi che non conosce, disdegna recarsi a mangiare in posti non congeniali. Quando ne era costretto (La colère de Maigret), quasi rispettando un rito scaramantico chiedeva sempre: “Si può mangiare da voi?”, ricevendo l’ovvia risposta “E’ naturale che si può mangiare”. Quindi, seguendo la tecnica “progressiva” degli interrogatori, proseguiva l’indagine: “Cosa preparate?”. Si tranquillizza solo apprendendo che nel menù sia compresa qualche pietanza a lui gradita (fricandò, arrosto di maiale con lenticchie, un buon patè di campagna).

Il Commissario è un animale abitudinario: i ritmi della sua vita prevedono sempre una cena settimanale (il giovedì) con i coniugi Pardon. A settimane alterne i Maigret si recano presso l’abitazione degli amici, ovvero li ricevono in Boulevard Richard-Renoir. Con l’amica Madame Pardon (moglie del medico Pardon) Louise Maigret scambia ricette che si aggiungono al patrimonio culinario della casa degli ospiti. Quelle svelate dalla moglie del Commissario sono spesso ricette che provengono dall’Alsazia, suo paese di origine.

I segreti appresi, invece, vengono da lei trascritti con cura su un quaderno acquistato dal marito in una cartoleria di Montmartre dov’era andato a chiedere informazioni, per una delle sue prime inchieste. In quell’occasione Maigret era stato costretto a comperare due quaderni, per rabbonire la vecchia cartolaia che si era innervosita, diventando scostante e sospettosa. Li aveva entrambi regalati alla moglie; nell’altro quaderno Madame Maigret usava incollare i ritagli di giornale che parlavano di suo marito. Era quest’ultimo quello che le stava più a cuore!

 

Gabriele Protomastro

Dai bistrot alle chiatte sulla Senna: i 120 luoghi del Commissario Maigret

 

I romanzi di Georges Simenon hanno due protagonisti: il commissario Maigret e Parigi. I 75 romanzi e i 28 racconti polizieschi nei quali Jules Maigret indaga sono anche un monumento letterario alla città, che pure ne ha avuti molti: forse uno dei più belli, certamente uno dei più completi. Del resto Simenon, nato a Liegi, era arrivato a Parigi nel 1922 e se ne era innamorato subito, anche se poi ci visse soltanto fino al ‘38.

La sua Parigi rimane intatta durante tutta la saga del commissario, dal 1930 al ‘72, fuori dal tempo, immota in un bianco e nero da fotografie di Doisneau, una Parigi di bistrot, case chiuse, balli popolari, chiatte sulla Senna e stazioni con ancora le locomotive fumanti. E dire che nei meravigliosi sceneggiati Rai, in bianco e nero anche loro, con il grande Gino Cervi nei larghi panni del commissario (secondo Simenon, di tutti gli attori che avevano impersonato il suo personaggio era Cervi quello che gli si era «più avvicinato») e la non meno brava Andreina Pagnani come madame Maigret, Parigi non si vedeva quasi mai, perché per risparmiare erano girati in studio…

maigret-tavolaPerò quella Parigi, la Parigi di Simenon, è ancora tutta lì (o quasi), come dimostra un volumetto di Michel Carly, grande simenonologo, «Maigret – Traversées de Paris», ovvero «I 120 luoghi parigini del commissario». A cominciare dalla casa: il commissario abita con la signora Maigret al 132 di boulevard Richard-Lenoir, un vialone che risale da piazza della Bastiglia verso nord.

Per la verità, se il nome del boulevard è citato nei romanzi per ben 187 volte (Carly è pignolissimo), il numero civico appare solo in uno, «Maigret et son mort» pubblicato nel ‘48, in italiano «Ben tornato, Maigret» o «Il morto di Maigret», a seconda del traduttore e dell’editore. Ma allora non si capisce perché Maigret, le rare volte che prende il metro, non lo faccia alla fermata di Oberkampf invece che alla Bastiglia, e soprattutto perché sua moglie vada a fare la spesa lontano quando, proprio sotto casa, c’era e c’è uno dei più colorati e appetitosi mercati parigini.

I Maigret vivono lì, in affitto, dal 1912, cioè da quando si sono sposati (ricordiamo che il commissario è nato nel 1887). A parte un breve periodo durante il quale devono traslocare perché il proprietario ha deciso «finalmente» di restaurare il palazzo. E allora il poliziotto più famoso di Francia trasloca in place des Vosges. E questo è possibile solo nei romanzi, o almeno in quelli d’epoca. Adesso la splendida place des Vosges è uno degli indirizzi più chic e di conseguenza cari di Parigi.

Lì abitano star del cinema, ministri ed ex tali, grandi chef e, almeno finché la moglie non si è decisa a sbatterlo fuori, Dominique Strauss-Kahn. Ma Simenon la conosceva bene, perché nel 1923 la piazza, non così esclusiva e anzi ancora malandata come tutto il Marais oggi alla moda, era stato il suo primo indirizzo parigino: prima, aveva sempre vissuto in piccoli hôtel un po’ equivoci. Simenon stava al 21 (Dsk, per la storia, al 13) e aveva come vicino di casa, guarda caso, un certo… Paul Maigret.

Poi, naturalmente, il 36, Quai des Orfèvres, la mitica sede della Polizia giudiziaria, dove il signor commissario ha l’ufficio al secondo piano, con la stufa di ghisa che ha ottenuto di conservare dopo l’installazione del riscaldamento centralizzato. Tutto è descritto con precisione: lo scalone polveroso, il lungo corridoio, la sala d’aspetto dove i sospetti attendono l’interrogatorio di Maigret (ma lui trasuda una tale umanità che alla fine confessare è un sollievo), gli uffici vecchiotti. Qualche anno fa, però, la Brigata omicidi ha traslocato altrove.

Invece la brasserie Dauphine dove Maigret va a mangiare o dalla quale si fa portare un gran vassoio di panini e «demi», i boccali di birra, non esiste. O almeno non è mai esistita con questo nome. C’era invece un café-restaurant «Aux trois marches», ai tre scalini, che c’è ancora anche se ha cambiato nome. Simenon, peraltro, ci si fece fotografare bevendo, anche lui, un «demi». Accanto, al numero 15 della place Dauphine, una targa ricorda che vissero lì Yves Montand e Simone Signoret.

E poi: Pigalle e le sue luci, le stazioni (detestate da Simenon), i canali (amatissimi), le Halles non ancora smantellate con i loro alberghetti sordidi, i ristoranti a prezzo fisso dove i clienti habitués hanno il loro portatovagliolo, le osterie fuoriporta con i balli popolari al suono della fisarmonica, la rue Lepic, «la via più umana del mondo», certe strade signorili e misteriose di Neuilly o del sedicesimo arrondissement, e chissà che drammi dietro quei portoni chiusi con gli ottoni che brillano… Pochi come Simenon hanno raccontato così Parigi, i suoi colori, i suoi sapori, i suoi suoni, la sua luce, perfino i suoi odori. Scrittore popolare, può darsi; grande scrittore, senza dubbio.

 

Autore dell’Articolo Sig. Alberto Mattioli

Indagini e buona tavola: svelato il segreto del commissario Maigret.

Ogni sera, rientrando a casa dopo una lunga giornata di indagini, il commissario Jules Maigret si divertiva a indovinare quale manicaretto sua moglie Louise gli avesse cucinato: un «boeuf miroton», una «blanquette de veau», una «tarte aux mirabelles», o forse un «gâteau aux amandes»…

A svelare le passioni culinarie del mitico detective è il prof. Hugues Corriat, di Alliance Française (a Genova, in via Garibaldi 20): il protagonista di ben 75 romanzi, frutto della penna del belga Georges Simenon, non è solo un eccellente ispettore ma anche un’ottima forchetta. Fulcro della conferenza tenutasi lunedì scorso, il libro Simenon et Maigret passent à table, scritto da Robert Courtine, amico del grande autore, e tradotto in italiano dall’editore Guido Tommasi sotto il titolo “A cena con Simenon e il commissario Maigret”.

maigret-mangiaUn’indagine trasversale dei romanzi del grande scrittore fa emergere tutta la sua passione per la buona tavola, e l’amico gastronomo è generoso di ricette, consigli e trucchi culinari, accompagnati da estratti dei romanzi e illustrazioni fotografiche della Parigi anni ’50.
Assaporando le pagine del libro si scopre che su 75 titoli, 49 sono farciti di squisitezze da far venire l’acquolina in bocca. Tra tutti, Maigret e il cliente del sabato, Maigret e il fantasma, Maigret e l’informatore, in cui spicca la saporita andouillette, una sorta di salsiccia francese tanto venerata da meritarsi il trono dell’«Associazione Amicale des Amateurs d’Andouillette Authentique» (A.A.A.A.A).

E da bravo giallista, Simenon ha disseminato i suoi romanzi di indizi culinari e doppi sensi, gustosissimi da decifrare, giocando abilmente con il parallelismo fra cucina e lavoro poliziesco. Così il sospettato numero uno viene «cotto a fuoco lento», a meno che non sia un tipo ermetico e ribelle all’autorità, uno «duro da cucinare». Ma se ad allargare le fila degli indiziati si aggiungono altri elementi, è probabile che prima o poi finiscano sul «panier à salade», il furgone della polizia che si chiama proprio come… un cestello per lavare le insalate. E qualora il sospettato sia davvero sfortunato, probabilmente verrà sottoposto agli sfiancanti interrogatori di un «boeuf carotte», nomignolo con cui vengono designati i membri dell’ «Inspection générale de la Police Nationale (IGPN)», la polizia delle polizie… nonché succulento piatto a base di manzo e carote, che necessita appunto di una lunghissima cottura.
Il commissario Maigret non si limita, però, a mangiare (e bere) di gusto, ma si diverte nel suggerire il grado di complessità delle sue indagini sulla base dei cibi che consuma: un solo piatto mangiato (possibilmente la mitica andouillette) indica un lavoro piuttosto semplice, e un’indagine che si risolve nell’arco di un solo pasto. In 20 romanzi su 75, invece, Maigret si delizia con due portate… e quando addirittura associa carne e crostacei insieme, è alle prese con un caso assai difficile e dai confini indefiniti: la vittima è un suo collega ispettore («né carne né pesce»). In alcuni casi (6, per la precisione) il commissario sembra proprio sudare sette camicie, e si consola con un ricco menu, dall’entrée al dessert: l’indagine è quindi lunga e articolata.


Il buongustaio Maigret mangia bene, volentieri e con cura, e ai suoi appassionati lettori non sarà certo sfuggito che le migliori ispirazioni gli vengono proprio a tavola… merito forse dell’eccellente cucina francese che stimola e acuisce i suoi sensi. E così come usa, in una sinestesia di gusto e intuizione, tutti i cinque sensi per assaporare i cibi, allo stesso modo li usa per sviscerare i misteri del suo lavoro. Ai lettori il piacere di scoprire nei capolavori di Simenon tutti gli indizi del suo profondo gusto per la cucina tradizionale, ora genuina e semplice come un piatto veloce al bistrot all’angolo, ora sofisticata e complessa… proprio come le indagini del suo mitico personaggio.

 

Articolo tratto da: Il Giornale.it